Mauro
Panichella
Con la mente e con il cuore
Caterina Gualco
Ricorderò sempre la scena iniziale del film “Oltre al Giardino”, in cui Chance Giardiniere, prima ancora di rendersi conto di essersi svegliato, va a spostare una piantina in vaso perché possa prendere un raggio di sole. So - da generazioni di contadini prima di me - che talvolta una giovane pianta che appare uguale a tante altre, ha in sé tutte le potenzialità che la trasformeranno in un albero particolarmente rigoglioso. Per tutta la mia lunga vita di gallerista, ho sempre seguito le voci misteriose che mi spingevano a interessarmi a un artista piuttosto che a un altro... Ecco la delizia della scelta, ciò che fa di un lavoro abbastanza simile a qualunque altro, qualcosa di speciale. Non sempre le voci sono sincere, e qualche volta l’entusiasmo parte troppo in anticipo. Ma quando succede il miracolo, è un lavorare stupendo, perché diventa una partecipazione diretta alla creatività, e da lì parte tutto un meccanismo per far sì che il resto del mondo (del proprio piccolo mondo almeno) ne venga a conoscenza e ne partecipi.
Ho conosciuto Mauro Panichella nel 2010, quando assieme a un gruppo di studenti dell’Accademia Ligustica ha presentato una performance alla Galleria d’Arte Moderna di Genova. Quel lontano giorno ero un po’ distratta dai tanti personaggi - Ben Patterson, Lulu Lolo, Sean Miller più gli studenti e il pubblico - che si muovevano per le austere sale del museo e per il parco inondato di sole, ciò nonostante una performance mi aveva particolarmente incuriosito: un gruppo di giovani coricati al suolo accostati uno all’altro, con una luce al neon che si muoveva sopra di loro esattamente come in uno scanner. Confesso che ciò che mi aveva colpito era già allora la cerniera tra meccanico e organico che ne scaturiva.
Naturalmente la mia curiosità si è messa in moto e ho fatto in modo di conoscere questo ragazzo, così figlio del suo tempo negli interessi, e contemporaneamente portatore di una tradizione, sia culturalmente sia nel suo rapportarsi agli altri.
La sua grazia, la sua onestà intellettuale mi hanno reso incredibilmente facile accostarmi al suo lavoro e seguirlo con passione, come invitarlo a manifestazioni importanti assieme a nomi di artisti internazionali. Io non trovo necessario raccontare il suo percorso, lui sa farlo meglio di me. Desidero solo ricordare la prima mostra in un museo alla quale l’ho invitato. Si trattava di “Bestiaro” una mostra al Museo di Scultura Medievale di Sant’Agostino, organizzata con l’Associazione delle gallerie genovesi. Io avevo scelto una parte del museo molto difficile da allestire, ma che mi attraeva particolarmente con la sua lunga vetrata su uno dei chiostri. Avevo avuto l’idea di giocare sulla trasparenza, con dei grandi lavori addossati al vetro e avevo chiesto agli artisti opere che avessero un riferimento con il mondo animale. Mi ricordo quei giorni pieni di attività, in cui, confesso, mi sono divertita moltissimo, come sempre quando c’è un gran... movimento. Gli artisti lavoravano intensamente, alcuni erano anche un po’ in panico, perché avevano potuto vedere le loro opere solo al momento dell’installazione sulla trasparenza della vetrata. Mauro aveva portato una grandissima Seppia scansita e stampata su due fogli di plastica da sovrapporre, uno completamente trasparente e l’altro opaco. Il lavoro c’era! Funzionava. E lui era così tranquillo (o almeno lo appariva) da poter anche aiutare qualcuno un po’ in difficoltà.
Ora gli anni sono passati, il lavoro è cresciuto, è diventato identificabile e identificato, nelle sue diverse manifestazioni, lo scanner, la macchina fotografica, il video.
Questo “giovane” artista, ormai non più solo “giovane” lavora su una scommessa, la sintesi trala tecnologia contemporanea, l’amore per la natura e l’interesse per i miti che l’accompagnano e io, che sono particolarmente attratta da questi temi, lo seguo e promuovo il suo lavoro con- vinta che un giorno l’albero allargherà le sue fronde su un vasto terreno nel mondo.
I shall always remember the opening scene of the film “Being There” in which Chance, the gardener, not yet quite realising he has woken up from sleep, goes to move a potted plant so that it can catch a ray of sunlight. Like generations of country people before me, I know how sometimes a young plant may seems just like the others, but that it possesses all the potential that will transform it into a particularly flourishing tree. Throughout my long life as a gallery owner, I have always followed those mysterious voices that push me to take an interest in one artist rather than another. That is the delight of making a choice, and is what makes something special out of a work of art that may seem very much like another. The voices are not always sincere, and sometimes the enthusiasm comes too early; but when the miracle happens, this is a wonderful way to work because it becomes direct participation in creativity. Then a whole mechanism gets moving to make sure that the rest of the world (of at least the particular little world of art) becomes aware of it and participates in it.
I first met Mauro Panichella long ago in 2010 at the Modern Art Gallery of Genoa, when he presented a performance with a group of students from the Accademia Ligustica. Although I was slightly distracted that day because of the presence of the students, the visitors, and many well-known people - Ben Patterson, Lulu Lolo, Sean Miller - who were moving through the austere halls of the museum and its sunlit park, there was one performance that did particularly intrigue me: a group of young people, lying on the ground side by side, with a fluorescent lamp moving across them like a scanner. I confess that I was struck by that connection between the mechanical and the organic.
This aroused my natural curiosity and I made a point of getting to know this young artist, who in his interests was so much a child of his time but simultaneously the bearer of a tradition, in a cultural sense and in his relationship with others.
Mauro’s gracefulness and intellectual honesty made it unbelievably easy for me to approach his work and follow it with passion, and I began inviting him to take part in important events in the company of internationally renowned artists. I hardly need to describe the pathway he took, since he himself knows how to do that better than I do. But I would like to recall the first museum exhibition to which I invited him: “Bestiaro”, which was organised with the Association of Genoese galleries and took place at the Sant’Agostino Museum of Medieval Sculpture. I had chosen a very difficult part of the museum for my chosen artists, but one that particularly attracted me because of its long window overlooking one of the cloisters, and which had given me the idea of playing on transparency by placing large works against the glass, and I asked the artists for works that would refer to the animal world. I well remember those days filled with activity during which, I must admit, I greatly enjoyed myself as I always do when there is a lot going on. The artists were working intensively, and some were even in something of a panic because they would only be able to see their works properly at the moment of installing them against the transparency of the glass. Mauro brought an enormous Seppia [Squid] he had scanned and printed on two overlapping sheets of plastic, of which one was completely transparent and the other opaque. That was his contribution! It was a success. He himself remained so calm (or at least gave that impression be) that he was even able to help some of the others who were in difficulty.
Now the years have passed and his work has grown, becoming both identifiable and identified in its various manifestations: scanner, camera, video.
This “young” artist, who is no longer simply “young” bases his work on a gamble: a synthesis of contemporary technology, his love of nature, and his interest in the myths that accompany it whilst I, who am particularly attracted to the same subjects, have been following his work and promoting it in my conviction that one day this tree will spread its branches in the world, to cover a wide terrain.